CAMBIA IL LINGUAGGIO LIBERA LE PAROLE DALLA VIOLENZA

21.11.2020

La sentenza n. 2422 depositata lo scorso 23 dicembre 2019 dal GUP Tribunale di Roma offre lo spunto per riflettere, ancora una volta, sul fenomeno della cd. vittimizzazione secondaria.

Utile e puntuale la ricostruzione, con il richiamo alla disciplina introdotta nel nostro ordinamento della L. n. 19/07/2019 n. 69 nota come legge sul CODICE ROSSO, che ne ha fatto Cecilia Pagellanel suo articolo del 15.04.2020 sulla rivista SP Sistema Penale, insieme al testo integrale della sentenza, fruibile on line.

Questa la vicenda giudiziaria.

Il Tribunale penale di Roma condanna un uomo per lesioni e maltrattamenti a danno della moglie e dei figli (art. 572 cp e art. 61 c. 1 n. 11 quinquies cp) con pena accessoria della sospensione della responsabilità genitoriale.

Nelle more del procedimento penale, datane notizie come per legge al giudice civile, il Tribunale per i minorenni, in uno a quella dell'imputato, sospende anche la responsabilità genitoriale della persona offesa, ossia della madre, per avere tenuto un atteggiamento non tutelante nei confronti dei figli, in quanto volto a coprire per anni il marito violento.

Senza invadere il campo di competenza del Giudice specializzato, la sentenza si annota per essere veicolo di "un'insolita interlocuzione con il giudice civile minorile". Palpabile il disagio del giudice penale nel vedere la vittima del reato oggetto di una vittimizzazione secondaria ad opera della giustizia minorile.

Il fenomeno, noto ai criminologi con l'espressione victim blaming, è oggetto di numerose disposizioni di diritto internazionale e nazionale, grazie alle quali nel nostro ordinamento è stato possibile introdurre il concetto di VULNERABILITA', condizioni che richiede una valutazione individualizzata basata sia sul tipo di reato commesso sia sulle caratteristiche personali della vittima e sulle condizioni concrete di commissione del reato.

In particolare, si dovrà dare rilievo al fatto che ricorra una situazione di DIPENDENZA AFFETTIVA, PSICOLOGICA O ECONOMICA tra vittima e autore.

Al riconoscimento dello stato di vulnerabilità della vittima segue quello di tutele volte a evitare alla vittima un impatto negativo con il processo (Dir. UE 2012/19 e L. 19/07/2019 n. 69) e le istituzioni in generale e a colpevolizzarla per il reato subito.

Ma il fenomeno della vittimizzazione secondaria può verificarsi anche in conseguenza di fattori esterni al processo, quali possono essere i traumi che la vittima del reato può subire a seguito dei processi mediatici che sempre più spesso accompagnano la commissione dei crimini più efferati.

Narrazioni distorcenti, giustificatorie e/o persino celebrative dell'assassino ricacciano la violenza nella dimensione del privato, nella non intellegibilità del raptus, nel fatalismo inevitabile e fascinoso dell'amore primitivo e morboso dando la

responsabilità alla vittima, ora sprovveduta e incauta, ora ingiusta perché respinge o lascia, spesso implicitamente una poco di buono (Elisa Giomi, Attenzione non è incompetenza ..., brevi riflessioni a margine dell'omicidio di Elisa Pomarelli, 08.09.2019).

Il problema affonda le sue radici in una cultura gravida di stereotipi e pregiudizi, ancora costretta in una narrazione mediale della violenza di genere tesa al sensazionalismo, all'uso di termini fuorvianti, a divulgare in modo morboso i dettagli della violenza.

Un resoconto dei fatti scorretto che continua a veicolare stereotipi e discriminazioni a danno delle vittime, anche quando queste sono tragicamente scomparse.

Nel novembre 2014, Armando Editore dava alla stampa nella collana Inchieste il libro del giornalista Mauro Valentini, 40 passi - L'omicidio di Antonella Di Veroli, che torna nelle librerie aggiornato e in una nuova veste grafica.

Con la prefazione di Marco Marra, Valentini ripercorre la vicenda giudiziaria - e umana - dell'omicidio di Antonella Di Veroli, affermata consulente del lavoro, che a 47 anni viene trovata morta nel suo appartamento nel quartiere Talenti a Roma il 12 aprile 1994.

Uccisa con due colpi di pistola, l'assassino nasconde Antonella, "con un pigiama indosso e la testa chiusa in un sacchetto di plastica", nell'armadio della sua camera, l'anta bloccata (notano una striscia che sembra colla sul bordo...), sotto un mucchio di coperte e di cuscini.

Un omicidio con diversi possibili moventi ma con un solo accusato, processato e assolto dopo un iter giudiziario lungo 7 anni, che non ha reso giustizia alla tragica, triste, solitaria morte di una donna.

Chi era Antonella Di Veroli?

La donna nell'armadio, come presto la stampa ribattezzò la povera Antonella, era per l'epoca una donna indipendente e intraprendente.

L'autore, con lo slancio empatico nota distintiva della sua penna, ricostruisce il profilo della vittima, mentre ripercorre le tappe di un processo "pieno di errori eccezionali", e lo fa a partire dalle carte processuali e dalle dichiarazioni spesso impietose rese alla stampa (Il Messaggero del 14.04.1994 titolerà Caccia all'ex amante - donna uccisa dopo aver fatto l'amore) e alle televisioni dalla famiglia, dagli amici, dagli uomini che, in vita, dicevano di averla amata.

Torna indietro Valentini e ritrae Antonella (al lettore non sfuggirà la vis provocatoria dello scrittore) a 40 anni e senza marito, intenta a comprare un moderno appartamento nel quartiere Talenti, "il rifugio solitario di una donna laboriosa e dagli orari impossibili, una libera professionista".

Sceglie lei gli uomini da frequentare (che dovranno tornarsene a casa, dopo...), ha poche amiche e un bel guardaroba, "quattro pellicce e un'infinità di tailleur molto eleganti che cambiava sempre".

Ma ecco Antonella nella descrizione di chi la circondava: "aveva un caratteraccio", "voleva avere ragione a tutti i costi", "cercava il principe azzurro, magari pieno di soldi", "...puntava a sistemarsi".

Antonella "faceva scenate per ogni cosa, era irascibile, non sopportava le imposizioni. Era intransigente e poco tollerante, non ammetteva sbagli...".

Le ultime pennellate al quadro sinistro della vittima, che resterà intrappolata per sempre dietro l'anta di quell'armadio da questa capillare attività di demolizione mediatica, le daranno proprio i suoi familiari.

Per i suoi genitori, "gente perbene", Antonella era una spina nel fianco, la pecora nera della famiglia, una figlia che dava sempre preoccupazioni.

Questa donna difficile, spigolosa, complicata, dai rapporti conflittuali, scomparirà definitivamente nel corso del processo. E dopo, quando la sentenza della Corte di Assise di Roma avvierà la sua morte verso un mesto oblio.

Non serve, in questo breve scritto, dare conto del profilo dell'imputato, il mostro sbattuto in prima pagina, assolto ma con la vita per sempre rovinata.

Il libro merita di essere letto per la precisazione espositiva con cui Valentini ricostruisce un processo lacunoso, affidato a indagini e perizie che di scientifico hanno solo l'etichetta.

L'inchiesta, nell'intenzione del suo autore, assurge a paradigma di ciò che non sono le BUONE PRATICHE GIORNALISTICHE (i does e i don't della narrazione), invocate dal Manifesto di Venezia, divulgate in un coro a più voci da rete Non Una di Meno, dai CORECOM regionali, da rete GI.U.LI.A (Giornaliste Unite Libere Autonome), dall'ANSA e dall'AGCOM.

Raccolgo via email alcune riflessioni di Mauro Valentini, al quale ho chiesto di descrivere "la sua Antonella" e di spiegare se il deprezzamento sociale della vittima sia valso a pregiudicare l'inchiesta e il processo.

"Molti segnali della mia ricerca possono dimostrare che si sia trattato di un femminicidio. Era una donna sola, Antonella, circondata da uomini sposati che ne colgono le fragilità e la vulnerabilità, approfittandone, illudendola e nello stesso tempo depredandola in tutti i sensi. Quando viene uccisa, è già morta dentro. Hanno scavato nella sua vita solo per coglierne elementi di disagio, senza alcuna connessione con il movente e la dinamica dell'omicidio. Ne hanno depredato l'onore, reso pubbliche le sue debolezze private, così ingenerando nella opinione dei più che in fondo Antonella quella fine se la fosse andata a cercare. Il racconto grida il mio sconcerto e la mia tenerezza verso questa vittima, vilipesa nel corpo prima e nel ricordo poi".

"Sarebbe bellissimo se lei riuscisse a raccontare la storia della povera Antonella, se riuscisse a tirarla fuori da quell'armadio" ...è stata questa frase che il vicino di casa di Antonella stringendomi la mano mi ha sussurrato fuori al portone".

Una richiesta, un invito, una proposta fiduciosa al giornalista, riconosciuto come colui che ha in mano gli strumenti per migliorare la copertura mediatica su un tema che travalica le implicazioni individuali verso una dimensione collettiva.

I media sono le nostre finestre sul mondo, sottolinea l'UNESCO (Il Messaggero, 7.11.2019) e possono avere un impatto e un ruolo importante nel raggiungimento dell'eguaglianza di genere, perché hanno il potere e la capacità di ispirare il cambiamento nelle norme, negli atteggiamenti e sui comportamenti scegliendo di far sentire la propria voce.

Maria Lovito

Crea il tuo sito web gratis! Questo sito è stato creato con Webnode. Crea il tuo sito gratuito oggi stesso! Inizia
Utilizziamo i cookie per consentire il corretto funzionamento e la sicurezza del nostro sito web e per offrirti la migliore esperienza utente possibile.

Impostazioni avanzate

Qui puoi personalizzare le preferenze sui cookie. Abilita o disabilita le seguenti categorie e salva la tua selezione.