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LA DONNA GIUSTA

di Caterina Ambrosecchia

Gelso Rosso edizioni

Era contento e avrebbe voluto stringere a sé il figlio.

Non lo fece per pudore e perché tra uomini bastava una pacca sulla spalla

10 maggio 2020

La donna giusta è il primo romanzo di Caterina Ambrosecchia, materana, laureata in Filosofia, insegnante di Scienze Umane e Sociali.

Racconta di tre storie che si intrecciano tra di loro: Luigia, la nonna, Libera, la madre, Monica, la nipote, tre donne, tre generazioni che si avvicinano dopo un inatteso e doveroso disvelamento del passato .

L'autrice ricorre al topos letterario del VIAGGIO per ri-cucire insieme nella memoria, ma pure nella realtà, le esistenze delle tre donne.

Un viaggio di ritorno, indietro nel tempo, che Libera e Monica, madre e figlia, impegnate a consumare un rapporto ordinario e pericolosamente sterile, intraprendono per tornare al paese di origine della prima per dare a Luigia, la nonna, l'ultimo saluto.

La vicenda si sviluppa in paese del Sud Italia (pure questo un espediente narrativo) che, però - mutuo dalla sinossi - non è paesaggio geografico, è mappa dell'anima e ambiente umano.

Caterina lo descrive subito come "un borgo medievale cinto da torri e mura con un imponente castello feudale", nel quale Luigia nasce, vive e muore, mentre Libera se ne allontana "per motivi lavorativi ma anche funzionali ad un certo distacco e alla lucidità" e Monica "non vi aveva mai vissuto, ci andava solo a trovare la nonna".

Descritto brevemente il luogo, fatto qua e là qualche richiamo, pure fugace, a strade contorte e maltenute, scalinate sconnesse, chiesette anonime, la farmacia, i tavolini fuori dal bar della piazza del centro, (tornano i luoghi comuni, familiari quasi), il vero paesaggio diventano i personaggi.

Il lavoro creativo di Caterina si carica di tracce e riflessioni socio-culturali importanti e diventa uno spaccato d'epoca, del quale l'autrice, forte dei suoi studi umanistici, scandaglia relazioni sociali, retaggi (sub)culturali, stereotipi, pregiudizi di un mondo patriarcale, dove, al termine, il lettore smarrisce le figure maschili, tutte uno o più passi indietro a quelle femminili, coraggiose, altruiste, orgogliose, capaci, nel loro silenzio "istituzionale", di slanci di squisita generosità, ma alla fine donne e perciò destinate al solo, eterno, coatto, indiscusso ruolo di mogli e madri.

Innanzitutto i semplici, gli umili da una parte e una piccola colta borghesia dall'altra.

La scuola e le ambizioni a carriere alte, importanti solo per la seconda e, tra questa, solo agli uomini.

Quindi atavici modelli educativi diversi fra uomini e donne, queste tenute a lavorare, specialmente se di bassa estrazione sociale, ma in più a cucinare e a tenere in ordine la casa.

Queste figlie femmine che appena nate erano per i padri una preoccupazione, perché le femmine "andavano dotate per maritarle...con proprietà o denaro sufficiente per rendere più appetibile la loro mano" in vista di un matrimonio che guai a non celebrare.

Perciò in quel piccolo borgo, uguale a tanti altri nel sud del mondo, Caterina racconta le ansie delle famiglie di trovare un buon partito a ragazze senza voce, i desideri negati, i sospiri d'amore soffocati, e di collocare nelle sfere più abbienti di quei microcosmi esistenziali i ragazzi, che studiavano, frequentavano i bar, giocavano alle corse dei cavalli, fumavano anche per strada, sfrecciando sulle prime eleganti automobili, per chi poteva già permettersele.

Poco importava se quelle donne e quegli uomini nutrissero aspirazioni diverse giacché alle famiglie interessava "sistemare le femmine" per liberarsi del loro peso, e affidare il compito di assicurare una discendenza ai maschi, che, caricati pure loro di fardelli e imposizioni, tuttavia, dopo il matrimonio, potevano concedersi le loro distrazioni (e forse qualcosa di più), senza che queste fossero stigmatizzate come disdicevoli, irriguardose e peccaminose.

E tra donne intente a cambiare i pannolini ai figli che nascevano numerosi e uomini che "facevano parte di quella generazione che non si sarebbe mai sognata di spingere un passeggino per le strade del paese", Caterina accompagnerà Tommaso, convinto dal padre Antonio che la vita è un compromesso e che bisogna scendere a patti per vivere, a scegliere la donna giusta tra "una ragazza bella e sfuggente, furba e intelligente" e "una donna che sappia stargli al fianco", "una comoda stabilità", "una persona con cui maturare tranquillamente".

                                                                                                                                M.L.


VIRGINIA WOOLF PROJECT

* TUTTE POSSONO USCIRE DALL'OMBRA *

5 maggio 2020

Antonietta Carestia è una magistrata romana che cura per ADMI (Associazione Donne Magistrati Italiane) il trimestrale on line Giudicedonna.it.

Ne ho apprezzato il pensiero e la scrittura agile e incisiva leggendo il suo articolo sul numero 2-3/2019 della rivista dal titolo "Il tetto di cristallo inizia a incrinarsi".

La sua riflessione sullo stato dell'arte del percorso di emancipazione femminile prende le mosse dal pensiero della differenza teorizzato in Italia da Luisa Muraro e Adriana Caverero, a partire dall'omonima corrente filosofica del XX secolo la cui maggiore elaboratrice critica fu la psicanalista Luce Irigaray.

In estrema (mi auguro non banale) sintesi, secondo questo concetto filosofico, solo un pensiero della differenza realmente radicale, capace cioè di mantenere in sé stesso l'alterità, potrà scongiurare tentazioni identitarie.

Forte di questa premessa Carestia scrive: "Riprendere la riflessione sul pensiero della differenza mi pare una scelta oggi necessaria e non solo opportuna per maturare una consapevolezza dell'insufficienza dell'agire delle donne nella costruzione di una propria identità che non sia accettazione e/o imitazione del modello maschile"

L'esigenza primaria è quella di costruire un modello di riferimento che non debba essere di sterile contrapposizione o di declinazione al femminile del modello maschile. Al contrario, questo modello identitario deve poggiarsi sulla specificità del femminile: la nostra storia, la nostra cultura sono segnate da un approccio diverso ai problemi, determinato da una diversa identità dei valori di riferimento.

Il tema è importante.

Lo ritrovo tra le pagine di Virginia Woolf in Una stanza tutta per sé (nell'edizione Mondadori, Oscar Moderni, pag. 101).

Con la maestria e la capacità di sintesi tra pensieri complessi, la scrittrice inglese si chiedeva già al suo tempo: " Sarebbe mille volte un peccato se le donne scrivessero come gli uomini o vivessero come gli uomini o assumessero l'aspetto di uomini, perché se due sessi sono insufficienti, considerata la vastità e varietà del mondo, come faremmo mai con uno solo? Non dovrebbe forse l'istruzione fare emergere e rendere più salde le differenze anziché le somiglianze?" .

E mi pare concluda con sapienza disarmante e tuttavia ancora lontana perfino dai nostri moderni schemi mentali: "Tutto questo contrapporre un sesso all'altro, una qualità all'altra; tutto questo rivendicare superiorità e accusare inferiorità, appartiene alla fase scolastica dell'esistenza umana, quella in cui ci sono le squadre e una squadra deve battere l'altra, ed è di estrema importanza salire su un palco e ricevere dalle mani del preside una coppa riccamente decorata".


La sfida impone di contrastare e vincere i meccanismi di esclusione che rendono invisibile il fare delle donne.

Le donne invisibili: ecco il nucleo del problema, già incredibilmente noto alla stessa Virginia Woolf, quando, con un guizzo creativo impareggiabile, immagina che, accanto al magnifico William Shakespeare, vivesse una sorella, "chiamata Judith, poniamo".

La Woolf la immagina straordinariamente dotata, desiderosa di avventura, ricca di fantasia, impaziente di vedere il mondo.

Ma Judith non venne mandata a scuola e, quando prendeva in mano un libro, arrivavano i suoi genitori a rammentarle di badare allo stufato e smetterla di fantasticare fra libri e fogli di carta.

Judith si condusse nell'ombra, (scriveva di nascosto qualche pagina in soffitta e stava bene attenta a nasconderla o bruciarla) fino a morire senza aver scritto una parola ed essere infine sepolta là dove oggi si fermano gli autobus, di fronte alla stazione di Elephant and Castle.

La mirabile invenzione letteraria serve alla Woolf per lasciare alle donne del suo tempo e a quelle del futuro, a noi, alle nostre figlie, la sua splendida eredità.

"Che cos'altro posso fare per spingervi ad affrontare la vita?"

Guardiamo in faccia il fatto che non c'è neanche un braccio al quale appoggiarci ma che dobbiamo camminare da sole ed entrare in rapporto con la realtà. Diamo a Judith la possibilità di vivere, ancora e ancora, prendendo vita dalle vite di tutte le sconosciute che l'hanno preceduta, facciamola uscire dall'ombra, diamole l'opportunità di riprendere quel corpo che tante volte ha dovuto abbandonare.

Raccolgono questo lascito Giulia Bortolini, operatrice professionista, e Laura De Benedetti, giornalista professionista, entrambe impegnate da anni per i diritti civili delle donne, ideatrici e curatrici del Virginia Woolf Project - tutte possono uscire dall'ombra.

Lo spiegherò prendendo a prestito le loro parole.

Il progetto prende spunto da un racconto della scrittrice del 1906 Phyllis e Rosamond, a proposito del quale scrive Woolf, "le donne sono marionette manovrate da fili oscuri" e "potrebbe valere la pena assumere a modello una delle tante donne affollate nell'ombra".


Il progetto di Giulia e Laura rilancia il compito di tenere traccia delle storie delle donne, ospitando racconti o semplici diari di vita, provenienti da qualsiasi parte del mondo, in un sito web destinato a divenire un grande affresco del 'femminile' di questa epoca.

Non ci sono limiti: l'unico denominatore comune, nello scrivere il racconto di una giornata, deve essere la riflessione sulla propria condizione di donna di oggi e sui vincoli che la società impone.

Virginia Woolf Project dà l'opportunità ad ogni donna, maggiorenne e di qualsiasi nazionalità, di fissare il fermo immagine di una giornata in un'ottica di genere e lasciarlo alla posterità con immagini, brevi scritti, videoracconti, graphic novel, contributi creativi.
ViWoP accoglierà i contributi in ogni lingua e rilancerà ogni storia sul sito e tramite i propri canali social Facebook,Twitter,Instagram,YouTube per diffonderne gli obiettivi.

Ne nasce un contenitore ricco di emozioni e di suggestioni, con racconti brevi che, come riflettori di un set cinematografico, illuminano vite di donne diverse tra loro per estrazione sociale, età, popolo e lingua.

Ogni momento, anche quelli (apparentemente) meno importanti della loro vita, diventa occasione per riflettere sui temi focali della violenza domestica, del gender gap, della difficoltà di infrangere il tetto di cristallo, del sessismo nel linguaggio e nei mezzi di comunicazione in generale.

ViWoP nasce per dare voce alle donne, attraverso lo strumento potente della scrittura e, allo stesso tempo, leggendo le storie, scorrendo le brevi biografie delle sorelle che sino a ora hanno inviato i loro racconti, si propone di rinsaldare l'alleanza tra donne per beneficiare della loro energia positiva, quella che muove e cambia il mondo.

Perché una donna che brilla è in grado di fare brillare anche le altre intorno a sé.


https://www.virginiawoolfproject.com/

                                                                                            

Maria Lovito


CAMBIA IL LINGUAGGIO

LIBERA LE PAROLE DALLA VIOLENZA 


La sentenza n. 2422 depositata lo scorso 23 dicembre 2019 dal GUP Tribunale di Roma offre lo spunto per riflettere, ancora una volta, sul fenomeno della cd. vittimizzazione secondaria.

Utile e puntuale la ricostruzione, con il richiamo alla disciplina introdotta nel nostro ordinamento della L. n. 19/07/2019 n. 69 nota come legge sul CODICE ROSSO, che ne ha fatto Cecilia Pagella nel suo articolo del 15.04.2020 sulla rivista SP Sistema Penale, insieme al testo integrale della sentenza, fruibile on line.

Questa la vicenda giudiziaria.

Il Tribunale penale di Roma condanna un uomo per lesioni e maltrattamenti a danno della moglie e dei figli (art. 572 cp e art. 61 c. 1 n. 11 quinquies cp) con pena accessoria della sospensione della responsabilità genitoriale.

Nelle more del procedimento penale, datane notizie come per legge al giudice civile, il Tribunale per i minorenni, in uno a quella dell'imputato, sospende anche la responsabilità genitoriale della persona offesa, ossia della madre, per avere tenuto un atteggiamento non tutelante nei confronti dei figli, in quanto volto a coprire per anni il marito violento.

Senza invadere il campo di competenza del Giudice specializzato, la sentenza si annota per essere veicolo di "un'insolita interlocuzione con il giudice civile minorile". Palpabile il disagio del giudice penale nel vedere la vittima del reato oggetto di una vittimizzazione secondaria ad opera della giustizia minorile.

Il fenomeno, noto ai criminologi con l'espressione victim blaming, è oggetto di numerose disposizioni di diritto internazionale e nazionale, grazie alle quali nel nostro ordinamento è stato possibile introdurre il concetto di VULNERABILITA', condizioni che richiede una valutazione individualizzata basata sia sul tipo di reato commesso sia sulle caratteristiche personali della vittima e sulle condizioni concrete di commissione del reato.

In particolare, si dovrà dare rilievo al fatto che ricorra una situazione di DIPENDENZA AFFETTIVA, PSICOLOGICA O ECONOMICA tra vittima e autore.

Al riconoscimento dello stato di vulnerabilità della vittima segue quello di tutele volte a evitare alla vittima un impatto negativo con il processo (Dir. UE 2012/19 e L. 19/07/2019 n. 69) e le istituzioni in generale e a colpevolizzarla per il reato subito.

Ma il fenomeno della vittimizzazione secondaria può verificarsi anche in conseguenza di fattori esterni al processo, quali possono essere i traumi che la vittima del reato può subire a seguito dei processi mediatici che sempre più spesso accompagnano la commissione dei crimini più efferati.

Narrazioni distorcenti, giustificatorie e/o persino celebrative dell'assassino ricacciano la violenza nella dimensione del privato, nella non intellegibilità del raptus, nel fatalismo inevitabile e fascinoso dell'amore primitivo e morboso dando la

responsabilità alla vittima, ora sprovveduta e incauta, ora ingiusta perché respinge o lascia, spesso implicitamente una poco di buono (Elisa Giomi, Attenzione non è incompetenza ..., brevi riflessioni a margine dell'omicidio di Elisa Pomarelli, 08.09.2019).

Il problema affonda le sue radici in una cultura gravida di stereotipi e pregiudizi, ancora costretta in una narrazione mediale della violenza di genere tesa al sensazionalismo, all'uso di termini fuorvianti, a divulgare in modo morboso i dettagli della violenza.

Un resoconto dei fatti scorretto che continua a veicolare stereotipi e discriminazioni a danno delle vittime, anche quando queste sono tragicamente scomparse.

Nel novembre 2014, Armando Editore dava alla stampa nella collana Inchieste il libro del giornalista Mauro Valentini, 40 passi - L'omicidio di Antonella Di Veroli, che torna nelle librerie aggiornato e in una nuova veste grafica.


Con la prefazione di Marco Marra, Valentini ripercorre la vicenda giudiziaria - e umana - dell'omicidio di Antonella Di Veroli, affermata consulente del lavoro, che a 47 anni viene trovata morta nel suo appartamento nel quartiere Talenti a Roma il 12 aprile 1994.

Uccisa con due colpi di pistola, l'assassino nasconde Antonella, "con un pigiama indosso e la testa chiusa in un sacchetto di plastica", nell'armadio della sua camera, l'anta bloccata (notano una striscia che sembra colla sul bordo...), sotto un mucchio di coperte e di cuscini.

Un omicidio con diversi possibili moventi ma con un solo accusato, processato e assolto dopo un iter giudiziario lungo 7 anni, che non ha reso giustizia alla tragica, triste, solitaria morte di una donna.

Chi era Antonella Di Veroli?

La donna nell'armadio, come presto la stampa ribattezzò la povera Antonella, era per l'epoca una donna indipendente e intraprendente.

L'autore, con lo slancio empatico nota distintiva della sua penna, ricostruisce il profilo della vittima, mentre ripercorre le tappe di un processo "pieno di errori eccezionali", e lo fa a partire dalle carte processuali e dalle dichiarazioni spesso impietose rese alla stampa (Il Messaggero del 14.04.1994 titolerà Caccia all'ex amante - donna uccisa dopo aver fatto l'amore) e alle televisioni dalla famiglia, dagli amici, dagli uomini che, in vita, dicevano di averla amata.

Torna indietro Valentini e ritrae Antonella (al lettore non sfuggirà la vis provocatoria dello scrittore) a 40 anni e senza marito, intenta a comprare un moderno appartamento nel quartiere Talenti, "il rifugio solitario di una donna laboriosa e dagli orari impossibili, una libera professionista".

Sceglie lei gli uomini da frequentare (che dovranno tornarsene a casa, dopo...), ha poche amiche e un bel guardaroba, "quattro pellicce e un'infinità di tailleur molto eleganti che cambiava sempre".

Ma ecco Antonella nella descrizione di chi la circondava: "aveva un caratteraccio", "voleva avere ragione a tutti i costi", "cercava il principe azzurro, magari pieno di soldi", "...puntava a sistemarsi".

Antonella "faceva scenate per ogni cosa, era irascibile, non sopportava le imposizioni. Era intransigente e poco tollerante, non ammetteva sbagli...".

Le ultime pennellate al quadro sinistro della vittima, che resterà intrappolata per sempre dietro l'anta di quell'armadio da questa capillare attività di demolizione mediatica, le daranno proprio i suoi familiari.

Per i suoi genitori, "gente perbene", Antonella era una spina nel fianco, la pecora nera della famiglia, una figlia che dava sempre preoccupazioni.

Questa donna difficile, spigolosa, complicata, dai rapporti conflittuali, scomparirà definitivamente nel corso del processo. E dopo, quando la sentenza della Corte di Assise di Roma avvierà la sua morte verso un mesto oblio.

Non serve, in questo breve scritto, dare conto del profilo dell'imputato, il mostro sbattuto in prima pagina, assolto ma con la vita per sempre rovinata.

Il libro merita di essere letto per la precisazione espositiva con cui Valentini ricostruisce un processo lacunoso, affidato a indagini e perizie che di scientifico hanno solo l'etichetta.

L'inchiesta, nell'intenzione del suo autore, assurge a paradigma di ciò che non sono le BUONE PRATICHE GIORNALISTICHE (i does e i don't della narrazione), invocate dal Manifesto di Venezia, divulgate in un coro a più voci da rete Non Una di Meno, dai CORECOM regionali, da rete GI.U.LI.A (Giornaliste Unite Libere Autonome), dall'ANSA e dall'AGCOM.


Raccolgo via email alcune riflessioni di Mauro Valentini, al quale ho chiesto di descrivere "la sua Antonella" e di spiegare se il deprezzamento sociale della vittima sia valso a pregiudicare l'inchiesta e il processo.

"Molti segnali della mia ricerca possono dimostrare che si sia trattato di un femminicidio. Era una donna sola, Antonella, circondata da uomini sposati che ne colgono le fragilità e la vulnerabilità, approfittandone, illudendola e nello stesso tempo depredandola in tutti i sensi. Quando viene uccisa, è già morta dentro. Hanno scavato nella sua vita solo per coglierne elementi di disagio, senza alcuna connessione con il movente e la dinamica dell'omicidio. Ne hanno depredato l'onore, reso pubbliche le sue debolezze private, così ingenerando nella opinione dei più che in fondo Antonella quella fine se la fosse andata a cercare. Il racconto grida il mio sconcerto e la mia tenerezza verso questa vittima, vilipesa nel corpo prima e nel ricordo poi".

"Sarebbe bellissimo se lei riuscisse a raccontare la storia della povera Antonella, se riuscisse a tirarla fuori da quell'armadio" ...è stata questa frase che il vicino di casa di Antonella stringendomi la mano mi ha sussurrato fuori al portone".

Una richiesta, un invito, una proposta fiduciosa al giornalista, riconosciuto come colui che ha in mano gli strumenti per migliorare la copertura mediatica su un tema che travalica le implicazioni individuali verso una dimensione collettiva.

I media sono le nostre finestre sul mondo, sottolinea l'UNESCO (Il Messaggero, 7.11.2019) e possono avere un impatto e un ruolo importante nel raggiungimento dell'eguaglianza di genere, perché hanno il potere e la capacità di ispirare il cambiamento nelle norme, negli atteggiamenti e sui comportamenti scegliendo di far sentire la propria voce.

                                                                                                                                                                                                                                                                                                     Maria Lovito


Le onde 

Virginia Woolf 

9 aprile 2020 

LeggoLibri, oggi, ospita la recensione a Le Onde di Virginia Woolf che il mio fraterno amico e collega Angelo Zito ha voluto regalare al blog. 

Avvocato finissimo, lettore di straordinario acume e sensibilità, dedica parole liquide e color del mare alle storie narrate dalla Woolf, che torna prepotente tra le righe di questo modesto spazio on line, in un romanzo dalla trama in contumacia dove l'io narrante si affida, per procura mai stesa a margine, a sei personaggi in cerca d'autrice: Bernard, Susan, Rhoda, Neville, Jinny e Louis.

Il breve lavoro di Angelo conferma la convinzione maturata da più parti che il libro è il mezzo per conoscere, interpretare e applicare il Diritto secondo principi di giustizia, di legalità, di etica civile e sociale. 

Convinzione alla base di un progetto ambizioso di cui LeggoLibri vi parlerà la prossima volta. 

(H2O) Onde

Due temi dominano la vita e l'opera di Virginia Woolf: il tempo e l'acqua.

Virginia Woolf nasce sotto il segno dell'Aquario e muore, suicida, nell'acqua.

Tutta la sua opera è piena d'acqua, di fiumi, di baie, di golfi, di mare.

Una volta scrisse a Vita Sackville-West che quando si comincia un romanzo, la cosa più importante non è sentire che lo si può scrivere, bensì sentire che esso esiste sull'altra riva di un golfo, che le parole non possono traversare, e che si può trarre a noi solo a prezzo di una angoscia che toglie il fiato.

Acqua anche nelle lettere che inviava ai suoi amici, dunque.

Nel 1931 la scrittrice dà alle stampe Le Onde, romanzo che Marguerite Yourcenar definirà 'rivoluzionario', romanzo nel quale il tempo e l'acqua sono convocati a sostituire ciò che i teorici chiamano 'trama', romanzo che, opinione di chi scrive, per qualche secolo resterà al di qua del confine del Duemila.

Le Onde è il romanzo dalla trama in contumacia dove l'io narrante si affida, per procura mai stesa a margine, a sei personaggi in cerca d'autrice: Bernard, Susan, Rhoda, Neville, Jinny e Louis.

Le voci dei sei amici, ciascuna in un breve soliloquio, si propagano come le onde del mare che si alternano e si susseguono nell'arco di tempo compreso tra l'infanzia e l'età matura degli stessi.

Il libro è una battigia sulla quale si infrangono, ritmicamente, una dopo l'altra, le onde dei ricordi, delle esperienze, delle vite vissute da ciascun narratore. Gli anni della scuola, i giochi e le battaglie contro i grandi; gli anni del college, la scoperta dell'amore e l'invenzione di voler divenire grandi; i matrimoni, le carriere, tra illusioni e disillusioni.

Ognuno ha qualcosa da dire, il romanzo è corale, ognuno canta la canzone di se stesso, ma attenzione: ognuno canta 'per se', non vi sono interlocutori. In alcune parti del libro la persona loquens perde connotazione fisica come l'onda del mare: parte-del-tutto priva di un'essenza propria.

Mai come ne Le Onde Virginia Woolf giunge a una esemplare rifrazione del punto di vista poiché esce dal punto di vista suo, acquisisce un punto di vista altro, lo abbandona poi per rifluire in un punto di vista indefinito, quello che Aldo Busi chiamerebbe punto di onniveggenza.

E' chiaro che al lettore pratico, ben saldo sui suoi piedi per terra, sarà facile formulare la seguente domanda: "Ma, allora, ne Le Onde, la Woolf dov'è?"

Tranquillo, lettore pratico, in questa marea di sopraffine liquido letterario, la Woolf c'è!

Spetta a te scoprire dove.

                                                                                                                                             Angelo Zito


Giuda 

Amos Oz

6 aprile 2020



Il mondo della letteratura e della cultura ha pianto la scomparsa dello scrittore israeliano Amos Oz,  a 79 anni, nel dicembre 2018. 

Nato a Gerusalemme il 4 maggio 1939, intellettuale e docente universitario, attraverso la sua corposa attività letteraria, Oz negli anni è spesso intervenuto per prendere posizioni politiche importanti, e sin dal 1967 è stato tra i sostenitori della"soluzione dei due stati" del conflitto arabo-israeliano. In un articolo del 1967, "Terra dei nostri Padri" sul giornale laburista Davar, scrisse senza troppi giri di  parole  "Anche un'occupazione inevitabile è un'occupazione ingiusta".


I suoi lavori sono tradotti in oltre quaranta lingue.

In Italia è un autore amato, ed è pubblicato da Feltrinelli. Tra i suoi libri tradotti in italiano, ricordiamo: Conoscere una donna (2000), Lo stesso mare (2000), Michael mio (2001), La scatola nera(2002), Una storia di amore e di tenebra (2003), Fima (2004), Contro il fanatismo (2004), D'un tratto nel folto del bosco (2005), Non dire notte (2007), La vita fa rima con la morte (2008), Una pace perfetta (2009), Scene dalla vita di un villaggio (2010, premio Napoli), Una pantera in cantina (2010), Il monte del Cattivo Consiglio (2011, premio Tomasi di Lampedusa 2012), Tra amici (2012; "Audiolibri Emons-Feltrinelli", 2013), Soumchi (2013), Giuda (2014), Gli ebrei e le parole. Alle radici dell'identità ebraica (2013; con Fania Oz-Salzberger) Altrove, forse (2015), Tocca l'acqua, tocca il vento (2017) e Cari fanatici (2017), Finché morte non sopraggiunga (2018).

Quanto mai opportuno in questo tempo di quaresima - e di quarantena - è tornare al lavoro mirabile di questo scrittore e all'intreccio narrativo di cui è autore apprezzabilissimo in Giuda, edito da Feltrinelli anche in edizione economica. 

L'invenzione letteraria è delle più sagaci: un giovane e introverso studente universitario, Shemuel Asch, conduce una ricerca per la sua tesi universitaria dal titolo Gesù visto dagli ebrei. Il dissesto economico dell'azienda dei suoi genitori diventa la  circostanza che lo induce a cercare lavoro  e che si rivelerà - come spesso nella vita - un'occasione propizia e più che fertile di riflessione e di cambiamento. Le storie delle persone colte ed eccentriche che incontrerà  al civico 17 di vicolo Rav Albaz, dove si stabilirà per un certo tempo,  gli offriranno l'opportunità di ripensare a una nuova immagine, umana e profonda, dolorosa e sanguinante, di Giuda.   

L'autore ha dichiarato che Giuda intende riflettere sul concetto di tradimento. Traditore è chiunque osi tentare strade nuove, gettare lo sguardo oltre i confini del presente e del convenzionale, cambiare la realtà data in virtù di qualche intuizione.

Ma che si voglia o non aderire a questa suggestiva rivisitazione, restano mirabilmente impresse nell'anima del lettore le parole con cui descrive il dolore dell'anima di Giuda alla morte di Gesù, il pentimento subitaneo alla scoperta di essere stato tradito e ingannato lui stesso, l'immensa solitudine dell'uomo, il tracollo spirituale di chi credeva riuscire in tal modo ad anticipare l'arrivo dei tempi nuovi che gli Ebrei attendevano da secoli. 

E' il cuore del racconto, pagine intrise di umanità, che chiedono, se possibile, perdono, che implorano comprensione. 

"Solo nella locanda deserta",  all'improvviso l'uomo comprende che "tre ore prima a Gerusalemme era stata assassinata la pietà e sterminata la compassione, ora il mondo era vuoto"

Sebbene sia fuggito via dal luogo della crocifissione, continua a sentire le urla di quei tre crocifissi "seduto curvo sulla panca di legno, la schiena contro il muro, gli occhi chiusi tutto tremante malgrado fosse una serata calda e umida". 

Nelle orecchie le urla dei condannati e le parole beffarde di quattro canaglie che continuano a gridare "Dov'è tuo padre? Perché non viene ad aiutarti?". 

Negli occhi "ai piedi della croce di mezzo...quattro o cinque donne disperate" e "la più vecchia...non scostava lo sguardo dalla croce...quasi che se avesse distolto gli occhi da lui anche solo per un attimo, lui sarebbe spirato". 

Poi l'abbandono,  il suo e quello del crocifisso (Eli, Eli, lama azavtani) e quindi il miracolo, quello che lui non si aspettava ma che era l'unico possibile che quel giovane Gesù era venuto a realizzare, "ecco, adesso, adesso, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno che non è di questo mondo".  

Infine, la presa devastante di coscienza in una lacerante parabola ascendente  (io l'ho ucciso, l'ho ucciso io, con le mie stesse mani ho provocato la sua crocifissione), che si curverà discendendo con furia cieca sulla decisione ultima e inappellabile di darsi la morte. 

"Una prima stella compare nel cielo scuro, e io le dico sottovoce stella, non credere. Poi, sulla curva della strada, mi aspetta quel fico morto. Studio attentamente un ramo dopo l'altro, trovo quello giusto, vi lego la corda". 

                                                                                                                                   Maria Lovito 


La cantina di via Occidentale 

Francesco Montemurro - Edigrafema edizioni  

"Eh, cose brutte succedono in questo paese, cose brutte, dove andremo a finire?" 

Sembra quasi un artificio di manzoniana memoria il ritrovamento, lì di un manoscritto seicentesco, qui di un fascicolo processuale su un caso di avvelenamento avvenuto nella Bernalda del 1877.

Una storia avvincente nella quale sono protagoniste indiscusse le donne e un giovane rampante avvocato, a cui l'autore darà il nome di fantasia di Marinelli e che scoprirà essere stato anche un raffinato scrittore di novelle risalenti al 1888.

In merito di più non diciamo, lasciando che il lettore s'avventuri nei vicoli di Bernalda chiamata Collevigna in compagnia dei Reali Carabinieri e del Pretore di Pisticci per indagare sul misterioso tentativo di veneficio a danno di Laura Pinto, una nobildonna del paese.

Un inaspettato affresco dell'epoca, sulle tracce del colpevole, il cui nome, in un capovolgimento di prospettiva narrativa, viene subito svelato dall'autore, che con Edigrafema ha all'attivo altri due libri, L'ultimo della lista e Il segreto della vedova Fox.

La Basilicata del latifondo con i palazzi nobiliari, gli uomini colti e importanti, le donne perfette padrone di casa, sacerdotesse dell'ordine e della purezza delle famiglie potenti.

A fare da contraltare un'umanità poverissima, aspra, afflitta da pene e dolori indicibili, priva di risorse culturali, e talvolta anche morali, distrutta - non gratificata - da lavori massacranti e mortificanti.

Il Potere - e il suo abuso - pervade le pagine del racconto.

Il Potere economico, il Potere culturale, il Potere giudiziario, il Potere ecclesiastico.

Sovrasta sulle vite degli uomini e delle donne a servizio dei padroni.

Per questo sarà gioco facile incolpare del veneficio una giovane servetta sfortunata, la cui unica colpa è quella di essere avvenente oltre misura - avvenenza che le costerà cara anche per altre vicende che lo scrittore racconta con impareggiabile delicatezza fino alla fine della storia - rimandando al lettore l'immagine cara di una vittima ineluttabilmente impigliata in un ingranaggio antico più grande di lei.

Tutto marcerà contro la povera Anna a partire da Carmela, che, condividendo con lei la condizione servile, dovrebbe esserle amica e invece...

In un triangolo di relazioni malevole e piagate dall'invidia per trasversali ragioni fra tre donne diverse per età, lignaggio, cultura e risorse, donna Laura, Carmela e Anna, a quest'ultima toccherà patire il giudizio dell'intero paese - che non dubiterà della sua scontata colpevolezza - insieme a quello, preventivo e malamente istruito, dell'Autorità, a tratti corrotta, ignorante, cieca.

Sarà il fervore appassionato del giovane e attraente avv. Marinelli a far luce sul delitto e a cambiare, insieme a quella di un processo ad esito scontato, la sorte di Anna, sul cui cuore resterà il peso di un lacerante segreto.

La cantina di via Occidentale è un racconto raffinato, perché ricercate sono la scrittura e l'indagine storica, nel momento della ricostruzione del processo e degli ambienti e dei suoi attori, nel ricreare atmosfere lontane attraverso la sapiente mescolanza tra il dialetto e l'italiano del tempo, le lingue dei villani e dei nobili, dei colti e dei pezzenti.

Un giallo territoriale direbbero i più accreditati recensori letterari del nostro tempo, una passeggiata tra i vicoli di Bernalda - Collevigna, i tramonti delle colline pisticcesi, i possedimenti nobiliari, le cantine condominiali custodi del buon vino e le tradizioni culinarie, ancora oggi vanto e orgoglio della Basilicata.

Mescolanza letteraria e compresenza fertile che affondano le radici in una tradizione di libri gialli nei quali il linguaggio dei personaggi, dando luogo a un intreccio tra spaccato popolare e borghesia o nobiltà, serve allo scrittore per riflettere sulla complessità della realtà.

E di originali impasti di linguaggi diversi fu primo artefice Gadda con il suo Er pasticciaccio brutto de via Merulana del 1946 fino al compianto Camilleri e ai moderni Manzini e De Giovanni, per citarne alcuni.

Un libro, quello di Montemurro, al pari di quelli appena citati, in grado di valorizzare le componenti locali, un valido e autorevole strumento di promozione del territorio.

... " Poi qualcuno della servitù diede la colpa al capretto, dicendo di averlo assaggiato e che era poco cotto, altri alla zuppa di fagioli, perché cucinata male, con troppo frangsiedd'*, suscitando la collera della cuoca" ...

                                                                                                                                                Maria Lovito

* Frangsiedd' peperoncino piccante 



Cyrano de Bergerac 

"Questo mio maledetto naso che mi precede di un quarto d'ora ovunque mi vieta fin l'amore di una brutta."

31 marzo 2020

Quando tu chiedi a un'amica sensibilissima di scrivere per il tuo neonato Blog una recensione a un libro del cuore e lei, indossato un mantello e impugnata una spada, ti consegna una confessione, un viaggio rivelatore all'interno della sua anima. 

Angela disturba il sonno eterno di Cyrano e, afferratolo per le spalle, lo scuote con veemenza e lo costringe a prendere ora e per lei, come per tutti quelli come lei, il coraggio delle proprie decisioni, anche quelle più spaventose. 

Angela, anima di luce, lettrice innamorata di tutti i generi letterari, insegnante di sostegno, viaggiatrice di mondi...d'inchiostro! 

 Ho letto e riletto il Cyrano non so quante volte...e come da copione ogni volta mi commuove fino alle lacrime.

E' inevitabile per me, alla sua morte io piango! Il fatto è che ripensando alla sua fine io mi imbestialisco! Ma proprio tanto. Come sarebbe a dire "Non si combatte solo per vincere! No, è assai più bello quando è INUTILE! Vi vedo, quanti siete?...tutti i miei vecchi nemici. La Menzogna?..il Compromesso?...il Pregiudizio, la Viltà. Volete che venga a patti? MAI!

Ah, ecco anche te, la Stupidità. Lo so che alla fine l'avrete vinta voi, ma non mi importa IO Mi BATTO! Si, m'avete preso tutto, l'alloro e la rosa..ma io mi batto, prendete..!!!"

E...semplicemente NON è vero ... per anni - sei stato per me - l'emblema, e per tanti altri come me, vinti dalla vita, dell'Eroe che muore puro, fedele a se stesso E non è vero! per tutta la durata dell'opera, per i 5 atti in cui Rostand ha deciso di far correre il filo della tua dolorosa, eroica esistenza Tu mio Cyrano, sei vittima della Menzogna, del Pregiudizio e della peggiore Viltà a cui uomo possa cedere: la viltà dei sentimenti, la viltà del cuore non svelato, dell'Amore celato, nascosto.

Cosa credevo mi potessi insegnare in tutto questo tempo in cui ho guardato a te come incarnazione del Coraggio che vorrei avere e che non ho? Niente.

Ho aperto gli occhi e ti ho visto, infelice e vinto, come me, come tanti, vinti dalle menzogne che ci raccontiamo dal primo all'ultimo respiro.

Hai preferito nascondere l'Amore in fondo alla tua anima, hai scelto di non svelarlo, perché la Paura è più forte, il Pregiudizio che il bello e buon Cristiano sia degno di essere amato e il brutto Cyrano NO, è più facile. Così non ci insegni il Coraggio, non combatti nessuno dei tuoi mali, dei nemici che soffocano la vita di noi poveri mortali, anzi ci fai credere che sia giusto che vada così. Ed io vorrei che tu gridassi "NO", vorrei sentirlo forte quel NO, urlato a quelli come me, che si nascondono, che si fanno piccini nella speranza di non essere visti, e muoiono più in fretta giorno dopo giorno, tenendo chiuso nei loro cuori ciò che sentono, scendendo a compromessi e odiandosi per questo. Vorrei sentirti dire che è preferibile il rifiuto, persino la derisione di chi amiamo piuttosto che portarsi dentro questo macigno che soffoca il respiro e impedisce di vivere pienamente.

Io amo tanto questo libro perché sono come Cyrano, sono una tra i tanti che si negano alla Vita, ed ecco perché piango affranta la sua morte ad ogni rilettura, perché la sua sorte è anche la mia. Eppure .. non c'è solo questo nelle appena 100 pagine dell'edizione Tascabili Newton del 1993 nella traduzione a cura di Franco Cuomo, quella che ho consumato in oltre 20 anni di sottolineature e appunti a piè di pagina!.

Perché amo così tanto questo libro? più di ogni altro?

Perché Cyrano è l'Uomo che ogni UOMO dovrebbe essere.. è puro, è leale , è libero, è orgoglioso, è tenace, è galante, è geloso, è protettivo, è possessivo , è "guascone", intelligente, arguto, incorruttibile, è in definitiva l'EROISMO stesso, l'idea stessa di eroismo incarnata in un essere umano dotato per di più di un'intelligenza così viva e vivace! Ama la sua donna con una PASSIONE che non ha eguali, ah! essere guardate così... sentire una sola volta la carezza di uno sguardo simile sul proprio corpo darebbe senso all'esistenza... eppure ... tutto il suo coraggio e tutta la sua forza NON servono a NULLA... non servono a fargli vincere la sola battaglia che conti per lui... non servono a fargli uccidere il suo nemico più subdolo e letale...quella SOLITUDINE a cui da SOLO si condanna... non servono a fargli aprire quel cuore così grande, così pieno d'amore da farlo sanguinare in versi e parole capaci di regalare il suo desiderio ad un altro... un Amore così grande da farsi da parte per cedere la sua felicità e far posto a quella dell'amata!

Ecco cosa mi ha insegnato Cyrano .. mi ha insegnato che l'Amore è distruzione e costruzione di se stessi.. che è totalizzante e alienante.. che rende viva la vita stessa e che senza i suoi tormenti nulla sarebbe il nostro esistere.

E infine nel 2019 mi sono ritrovata a guardare un nuovo film dedicato al mio libricino preferito : Cyrano mon amour e non ho potuto che trovarlo SPLENDIDO come l'opera di cui racconta la gestazione. Dolce e Amaro come la morte di Cyrano che negandogli il lieto fine lo consacra e consegna all'Eternità.

Perché, in definitiva, quando un Amore diventa Immortale? Quando non si consuma nella quotidianità, quando la passione non soffoca nella carne.

Cyrano è immortale come le virtù che incarna e un po' di Cyrano vive in ognuno di noi.



I consigli di lettura di Giawalù centro studi Yoga e Ayurveda

31 marzo 2020

Libri di formazione personale, poesie e pensieri per la meditazione, viaggi nell'anima, scritti antichi, filosofia orientale, cultura e storia dell'India : tutti i consigli di lettura di Giawalù con il commento entusiastico della sua fondatrice, Luciana  Pigeon. 
Il centro studi è aperto a tutti e vi aspetta. 
Visitate la sua pagina Facebook e prendete un appuntamento 

RABINDRANATH TAGORE, Hai colorato i miei pensieri e i miei sogni, a cura di Brunilde Neroni

Una raccolta di Poesie d'amore per giovani innamorati, tratte dalle varie opere scritte da Tagore. Poeta, drammaturgo, musicista e filosofo indiano (Calcutta 1861 - Śānti Niketan, Bolpur, 1941). Considerato una delle figure più rappresentative dell'India moderna, si fece portavoce di un messaggio di armonia universale che valica i confini tra razze e popoli. Per la profonda sensibilità, per la freschezza e bellezza dei versi che, con consumata capacità, Rabindranath Tagore riesce a rendere nella sua poeticità, espressa attraverso il suo linguaggio inglese, parte della letteratura dell'ovest', nel 1913 Rabindranath Tagore venne insignito del premio Nobel per la Letteratura.

DON MIGUEL RUIZ, I quattro accordi 

In questa opera l'autore rivela la fonte delle credenze autolimitanti che privano della gioia e creano inutili sofferenze. Basato sull'antica saggezza tolteca, I quattro accordi offre un valido codice di condotta che può trasformare rapidamente la nostra vita in una nuova esperienza di libertà, di vera felicità e di amore.

PARAMHANSA YOGANANDA, Autobiografia di uno yogi

Ci sono libri che hanno il potere di trasformare l'esistenza. Libri capaci di spalancare le finestre dell'anima. Libri come questo! Quest'opera annoverata fra le cento opere di contenuto spirituale più importanti del ventesimo secolo, trasmette ai suoi lettori le potenti vibrazioni di un Maestro illuminato che ha trasformato e ispirato milioni di persone. È una avventura spirituale appassionante, fra storie autentiche di miracoli, grandi yogi e santi. Yogananda lavorò alla sua opera per 25 anni affinché ogni parola riflettesse fedelmente il suo spirito e la sua conoscenza. Un capolavoro immortale!

DEEPAK CHOPRA, Benessere totale

In questo libro il Dottor Deepak Chopra, guru della medicina ayurvedica, offre un programma di riequilibrio psicofisico, che si adatta all'esigenza di ciascuno: dalla dieta calibrata alla meditazione, dalle tecniche anti stress agli esercizi per compensare gli squilibri interni. Il risultato della perfetta armonia di corpo e mente e diventare consapevoli del proprio essere. Meditare non significa costringere la mente al silenzio: è trovare la quiete che esiste già dentro di noi 

LA BHAGAVAD GITA O POEMA DIVINO,  EDIZIONI TEOSOFICHE ITALIANE A CURA DI SERGIO FERRO

La Gita con i suoi 18 Canti occupa una posizione unica fra il gran numero di opere sanscrite, di varie epoche e dimensioni, di cui è ricca la letteratura dell'India. Una gemma! Nel fitto dialogo fra Arjuna e Krsna l'opera fornisce al primo ogni sorta di risposta e di indicazione sui principali temi dell'Essere e della Vita. È tradotta dal sanscrito all'italiano senza commenti.

ECKHART TOLLE, Il potere di adesso

Un viaggio stimolante e straordinario alla scoperta del potere di adesso, per scoprire che possiamo trovare la via d'uscita al dolore lasciandoci andare al presente, senza più restare ancorati al passato o proiettati verso le preoccupazioni sul futuro. Adesso, nel presente, i problemi non esistono perché scopriamo che siamo perfetti e integri. Tolle, un maestro spirituale contemporaneo!!!


Scrivere "cose da donne"

 "Se vuole scrivere romanzi una donna deve avere del denaro e una stanza tutta per sé"

E' la traccia narrativa che Virginia Woolf sviluppa - con tecnica linguistica di sorprendente modernità - nel suo capolavoro Una stanza tutta per sé, famoso saggio che si basa sul testo di due conferenze tenute dall'autrice nell'ottobre del 1928.

Un capolavoro prezioso che si ama ricordare, un testo femminista per le donne e sulle donne.

Un pilastro che sorregge le opere degli scrittori e delle scrittrici a venire.

Si tratta di una ricerca tra i libri scritti e pubblicati nei secoli precedenti al suo tempo sulla presenza/assenza delle donne.

Un percorso che evidenzia la profondità degli studi compiuti dalla scrittrice, il suo solerte attivismo in movimenti femministi e, a tratti, un inusitato senso dell'umorismo che vale ad allentare la spietatezza dell'analisi e dei suoi risultati.

Conscia che il romanzo sia e debba essere la via di fuga per la trasformazione radicale della letteratura dell'epoca, la Woolf rimarca la necessità che, per scrivere, una donna debba essere indipendente (denaro, spazio fisico, spazio spirituale) e non debba aver paura di scrivere "cose da donne" .

"Lasciatele dire quello che pensa, ignorate la metà di ciò che scrive oggi, e uno di questi giorni scriverà un libro migliore,. Sarà un poeta (...) fra cento anni"

Qualcosa è cambiato per le giovani intellettuali di oggi rispetto ai tempi di cui quelle pagine sono figlie?

Da uno studio condotto dall'Osservatorio AIE sui consumi editoriali, cresce la percentuale di scrittrici in Italia al pari della presenza femminile anche nei ruoli dirigenziali dell'editoria, soprattutto nelle case editrici piccole e medio - piccole, che rappresentano una parte importante del nostro tessuto imprenditoriale.

In Italia la narrativa letteraria sta cambiando e qualcuno, da qualche parte, parla di "effetto Ferrante" (Io Donna, Corriere della Sera, 11.12.2019).

L'ascesa della scrittrice ha portato alla riscoperta di donne grandi scrittrici italiane del secolo scorso (Natalia Ginzburg, Lessico familiare e Elsa Morante, L'isola di Arturo) e ha incoraggiato una nuova ondata di donne romanziere che vincono premi prestigiosi, vengono tradotte e vendono migliaia di copie (il capolavoro introspettivo di Nadia Terranova, Addio fantasmi, la storia intensa sui legami tra le donne di La straniera di Claudia Durastanti e Helena Janeczek, tedesca naturalizzata italiana, La ragazza con la Leika).

Il dibattito è sempre acceso ma il momento di riconoscere che qualcosa sta cambiando è arrivato. Forse, l'augurio che la Woolf rivolgeva alle donne dei tempi futuri può trovare la sua espressione più compiuta nella brillante e accorata conclusione del romanzo di Angeles Mastretta, Il mondo illuminato, estratto dal discorso pronunciato in occasione del conferimento del premio Romulo Gallegos 1997 per il romanzo.


Ecco perché, ogniqualvolta abbandoniamo un libro credendo di averlo terminato, ridestiamo l'angoscia di un universo miracoloso di cui non comprendiamo la ragione d'essere.

Da questo senso di abbandono ci libera soltanto l'urgenza di inventare un altro libro.

Ci dedichiamo alla scrittura un giorno pieni di paura e un altro pieno di speranza come chi cammina con piacere sull'orlo di un precipizio.

Non riesco a immaginare un lavoro più prodigo di questo, che ho trovato come se non potessi farne un altro.

Perciò ricevo questo premio più sorpresa che orgogliosa.

Ho sempre saputo che la sorte è stata generosa nel concedermi una professione grazie alla quale mi guadagno la vita, mi rendo la vita più bella e sopravvivo quando la vita diventa ardua. Non avrei osato chiedere al destino nessun'altra ricompensa per il mio lavoro

                                                                                                     Maria Lovito


I consigli di lettura di ASD Poseidon

ASD Poseidon, tra una gita in barca a vela e una gara di orienteering, ha voluto segnalarci alcuni libri ricchi di avventura e mistero...perché torneremo prestissimo a veleggiare con loro!


Sherlock Holmes, Il mastino dei Baskerville - L'indagine nella più famosa delle brughiere che, insieme alla figura inquietante del mastino, restano capolavori della creazione letteraria di Conan Doyle

Margareth Doody, Aristotele detective - Giallo e misteri nella Grecia di Aristotele. Storia e filosofia che si intrecciano al talento creativo di Doody. Una scoperta piacevole.

Ken Follet, La cruna dell'ago - La vigilia del D-Day. I servizi segreti e l'ombra dello spionaggio. Avvincente.Ken Follet, La cruna dell'ago - La vigilia del D-Day. I servizi segreti e l'ombra dello spionaggio. Avvincente

Wilbur Smith, Sulla rotta degli squali - Avventura allo stato puro tra isole sperdute nell'Oceano Indiano e tesori nascosti

Dan Brown, Il Codice da Vinci - Con il prof. Langdon tra simboli e oscuri messaggi per tentare di decifrare il codice segreto del grande Leonardo. Un viaggio tra dipinti indimenticabili, segreti dei Templari e il il mistero sempre affascinante del Santo Graal    


L'albatro

Simona Lo Iacono - Neri Pozza

"Sarai come l'albatro per il capitano della nave?"
"Precisamente. Io per vossia sarò l'albatro" 
20 marzo 2020

"Vulissuri cunti di le baronie? Vulissuri sogni le vossignorie?"

Cunti e sogni ci dona la scrittura ammaliatrice di Simona Lo Iacono nel suo ultimo libro L'albatro, edito da Neri Pozza.

Magistrato nella sua Sicilia, appassionata di Storia e letteratura, si fa portavoce di un messaggio sociale sul potere terapeutico della scrittura, capace, insieme ai "colori aggressivi", di fiaccare la tristezza.

Nell'illusione di dipanare la matassa tra diritto e rovescio, e viceversa, l'autrice racconta gli ultimi giorni di vita dell'autore de Il gattopardo, Giuseppe Tomasi da Lampedusa e lo fa attraverso un lieve, scorrevole altalenarsi tra le pagine del diario dello scrittore dal suo letto di dolore in un nosocomio romano a quadri della sua infanzia, nei quali Simona mescola con sapienza accurati dettagli di vita reale a deliziose trovate di ingegno.

La profondità e la cura della ricerca storica, l'analisi del mondo interiore di Tomasi da Lampedusa sono così intense e partecipate che la storia pare essere stata scritta da una romanziera di quel tempo. Ma la scrittura di Simona non si sovrappone a quella del suo personaggio, ma la affianca, la accompagna, riesce a creare in maniera vivida e reale luoghi e caratteri umani indimenticabili.

Così nitide sono le parole che il lettore, almeno quello che conosce il tempo e il senso sospeso della controra, si ritrova bambino in camera da letto per il riposo, "quando la canicola sarebbe scemata e il sole avesse smesso di fiocinare la terra", in canottiera e mutande a lanciarsi addosso cuscini con fratelli o cugini, mentre "gli adulti si ritrovavano nella stanza dello scirocco".

Splendono le descrizioni di alcune figure, camei che, in una trasposizione cinematografica, sarebbero capaci di oscurare la bravura degli attori protagonisti.

L'affascinante Madre, "una donna che sa farsi attendere", che nelle diavolerie dei raggi del sole estivo della Sicilia "sollevava appena il ventaglio e ostentava una messa in piega perfetta" e che "votò per la monarchia e si mise a letto per sempre, sapendo che avrebbe vinto la repubblica".

E Licy, la moglie straniera di Tomasi, una donna malvestita capace di parlare sette lingue straniere, don Nofrio il fedele governante della villa al mare, lo zio Alessandro lo scapestrato di famiglia, i cugini, la compagnia di attori girovaghi, intorno ai quali Giusppe e Antonno sapranno costruire storie fantastiche nell'estate di trapasso, quella che ogni bambino, ogni adolescente sperimenta nella propria vita.

L'intera composizione si muove verso la genesi del capolavoro di Tomasi da Lampedura, pubblicato postumo dopo rifiuti segnanti, e tra le pagine riecheggia la sofistica produzione letteraria che da I Vicerè di Federico De Roberto (di cui v'è una versione cinematografica del regista Roberto Faenza) fino a Simonetta Agnello Hornby con La Zia Marchesa, ha raccontato il trapasso della più alta aristocrazia isolana dal crollo del regime borbonico ai tempi nuovi.

Sempre in compagnia di quell'albatro, "creatura libacciosa e marinara", l'albatro cantato da Baudelaire in versi celebri.

Sarà l'albatro, su ali di poesia e scrittura, a condurre il lettore a un finale inaspettatamente sorprendente.

                                                                                                                                                                  Maria Lovito



I consigli di lettura di Mauro Valentini

Ho pensato di chiedere ai miei amici e alle mie amiche di indicarci i loro titoli preferiti...per questo periodo ma anche per dopo...

Iniziamo con Mauro Valentini. Questi sono i suoi consigli di lettura. Io ho già scelto!    

15 MARZO 2020


E, dunque, non potremmo raccontarci, quando tutto sarà finito, che non abbiamo avuto tempo per leggere.

La scusa in genere è quella, è spesso non è una scusa per molti visti i ritmi frenetici.

Forse chissà questo nuovo ritmo ci insegnerà che tra le priorità nuove nel mondo nuovo post corona virus ci sarà l'amore per le arti.

E la letteratura.

E, dunque, ecco i miei consigli di lettura.

1- Poirot sul Nilo. Un classico di Agatha Christie. Geniale.

2- La camera azzurra di Simenon. Un capolavoro intricato e dolente. Sorprendente.

3- Ti prendo e ti porto via. Di Ammaniti. Surreale, comico e spiazzante, il primo grande successo dello scrittore più schivo del nostro panorama letterario. Pazzesco.

4- Se il sole muore di Oriana Fallaci. Come ci si attrezzava per un'eventuale fuga dell'uomo sulla luna. Un anno a Cape Canaveral nel 1963. Con i sogni uguali a quelli che abbiamo oggi che pure sulla luna ci siamo andati. Meraviglioso.

5- I Bannunati di Marina Novelli. Scrittrice non troppo nota ai più ma che mi ha rapito per lirica e capacità emozionale. Una storia quasi vera e di un verismo moderno che raccoglie il testimone di autori del passato. Romantico 


RUBENS IL PARTIGIANO E ALTRI RACCONTI

Enzo Montano, Edigrafema Edizioni

...Ma noi combattiamo per essere diversi...

15 marzo 2020

Non ho il dono della scrittura, così esordisce Enzo Montano in nota al suo libro, Rubens il partigiano e altri racconti, ma è un'affermazione che trova aperta e subitanea smentita appena s'inizia la lettura di questa delicata raccolta di storie.

Convinzione la mia che si fa vera quando l'autore abbandona la ricerca, un po' affannosa, dell'artificio stilistico, del costrutto ampolloso e raffinato, per lasciare respirare in libertà pensieri e cuore.

Così accade di leggere brani come questo: "Si amarono senza freni. Seppero della grandezza sterminata egli oceani perché li sorvolarono, videro l'ora del tramonto perche volarono intorno al sole, percorsero l'immensità delle stelle luminose, perforarono le nuvole assieme ai raggi del sole ..."per descrivere l'amplesso ritrovato tra Giuseppe e Annina (Il raccolto) o come: "Giacomo volò in alto nel cobalto del cielo, fece compagnia ai gabbiani, andò sulla cima della montagna più vicina e rapidamente tornò sulle labbra carnose di Jeanne..." a raccontare la passione amorosa di un ragazzo per una donna matura, un cliché letterario e cinematografico che sempre riesce a evocare i primi, naturali turbamenti dell'animo adolescenziale (La casa al mare).

Ecco lo stile più autentico di Enzo Montano.

Così sono i suoi racconti.

Poi c'è la poesia (bellissime le citazioni di Neruda), l'arte (Rubens, Van Gogh, Botticelli), la musica (Vivaldi), tanto tangibili i richiami che pare di sentire versi, di vedere quadri, di sentire note.

E quanta umanità passa da quelle pagine: contadini, operai, giovani e vecchi, nobili e semplici, dirigenti di partito, madri e padri, fratelli e sorelle.

Ma soprattutto donne, tante, belle e seducenti, eleganti, pazienti, forti, con il calore del Sud nelle movenze, negli occhi e nei capelli, sempre nerissimi. Tra tutte resta il ricordo, quasi esilarante, della marchesa Immacolata Assunta Maria della Sanità che, appesantita dai numerosi titoli nobiliari ereditati per nascita, "aveva il dono della leggerezza", al punto che "al suo passaggio la folla si apriva naturalmente come per Mosè il mare" (La biancheria).

Fino a quando i toni si fanno più scuri, più seri, più contenuti e riflessivi ed ecco Rubens, il giovane partigiano, che a buon diritto chiude la raccolta.

Non serve ripercorrere la storia di coloro che, a quell'epoca, lasciarono le loro case per rifugiarsi sulle colline e sulle montagne per salvare il Paese dalla disfatta dei regimi totalitari.

Non serve perché è nota e Rubens, i suoi compagni, sua sorella, la sua donna, non sfuggono a quel copione.

Colpisce, tuttavia, nel breve racconto l'episodio della cattura delle due donne collaborazioniste dei fascisti.

Alla furia cieca e vendicativa di Piccolo e Carlo, alla paura rassegnata e consapevole delle donne, Montano contrappone l'atteggiamento eroico, compassionevole, salvifico di Rubens che, con il volto deformato dall'ira, interviene non solo per sottrarre le donne dalla loro sorte dolorosa, ma a ribadire l'assoluta necessità di salvare l'Idea (Siete partigiani o professionisti dell'odio?), i Principi (Siamo vigliacchi come loro che infieriscono sui deboli", gli Scopi (Noi combattiamo per essere diversi), che animarono la battaglia partigiana di libertà.

Inevitabile il raffronto con il brano conclusivo di La Luna e i falò di Cesare Pavese che, mai rinnegando il suo favore per la lotta partigiana, li rende, in tal caso, assassini brutali e crudeli di Santa, che, scoperta, viene condannata a morte e, nel suo abito bianco, simile a una vittima sacrificale, viene bruciata in un rogo, un falò, che diventa, insieme ai sarmenti della vite, un rito propiziatorio, un simbolo di rigenerazione e di vita.

Su questa e su quella storia risuona il monito di Montano/Rubens, a conclusione del racconto: ma non sono in grado di dire cosa potrà accadere quando il ricordo della dittatura sarà affievolito, quando i partigiani non ci saranno più e quando neanche ci saranno i dirigenti capaci di indicare la strada.

Il libro, dunque, si fa ricordo, rievocazione di tempi passati, analisi di quelli moderni, caricatura di abitudini e tradizioni contadine e, intessendosi, diventa veicolo di messaggi e compiti, forti, da affidare alle nuove generazioni.

                                                                                                                              Maria Lovito                                                     

                                                                                           



AMOR(T)E

Daniela Di Camillo e Federica Confalone

Laboratorio del Possibile

Così si creano legami a volte: sciogliendone altri nocivi e tossici

8 marzo 2020

Nell'introduzione al Rapporto GREVIO 2019, le Associazioni di donne e di professionisti, che si sono unite per approfondire lo stato dell'applicazione della Convenzione di Instabul in Italia, hanno acceso i riflettori sulle modalità di approccio al tema della violenza nei confronti delle donne e della violenza domestica. Testualmente vi si legge: "Normare è facile e poco costoso, sembra rassicurante puntare soprattutto sulla criminalizzazione delle condotte senza impegnarsi concretamente sulle necessarie azioni per creare un contesto efficace di contrasto alla violenza". Alla criminalizzazione delle condotte il Rapporto contrappone "come vera sfida la capacità di incidere sul dato culturale, il solo che possa portare al cambiamento". In questa ottica il Rapporto rivendica il ruolo delle Associazioni di donne perché "sia riconosciuto valorizzato, potenziato, quale valore aggiunto e strumento cruciale per la lotta contro la violenza sulle donne"

Ecco che, camminando su questa strada, incontriamo il progetto di Daniela Di Camillo e Federica Confalone, operatrici attive del Laboratorio del Possibile. Amor(T)e è il titolo del loro libro, che, per bocca, anzi per penna, delle stesse autrici si fa strumento, tra i tanti possibili, di informazione, sensibilizzazione, educazione ai sentimenti e prevenzione.

La copertina volutamente dura, resa appena più lieve da due piccole farfalle ai margini, il linguaggio semplice delle donne che si raccontano, accolto dalle autrici che restano rispettose spettatrici e ascoltatrici, la scrittura a tratti interrotta dal dolore e dalla ritrosia delle voci narranti.

Daniela e Federica sono le prime ad ascoltare le storie delle donne che decidono di rivolgersi al Laboratorio. Sono tante. Non ce n'è una che somigli all'altra. Ognuna chiede un suo specifico approccio. Ne hanno scelte quattro ad esemplificare un percorso che nulla ha di semplice. Ogni storia è preceduta da una sorta di premessa quasi utile a proteggere il lettore dalla ferocia di alcuni passi. Descrizione di volti, movimenti convulsi delle mani, atteggiamenti scontrosi e di chiusura contrapposti a una fiduciosa resa, al fluire delle loro confidenze davanti alle due volontarie che sono lì solo per loro. Solo per ascoltarle!

Conosciamo Daniela, ragazzina sognante, facile preda di un adulto bugiardo per colpa del quale conosce dell'amore l'aspetto ferino, brutale, egoista. Daniela, al buio della violenza sessuale consumata in automobile lontano dal centro abitato, finge di essere morta: "(...) non piangere, non ti muovere, così lui non ti uccide davvero". Lui scompare così come era apparso, ma spetterà a lei, alla vittima, trovare le risposte a quell'atto crudele e vile, a fare diventare ragioni le sue colpe, a capire, divenuta Donna Matura, di non essere sbagliata.

"Si è aiutata facendosi aiutare": anche Joanna ha intrapreso questa strada. Si è rivolta al Laboratorio e grazie a un avvocato volontario è riuscita a salvare se stessa e il figlio dalla spirale della violenza domestica che si consumava, immutabile, nel suo nido d'amore con un marito geloso e possessivo.

Poi il percorso narrativo si fa più faticoso quando arriva Benedetta, oggi moglie e madre, ieri figlia di un padre orco e "di una madre troppo debole per proteggere persino se stessa". La sua storia ci introduce nel mondo devastato della violenza assistita, di tutti i bambini che vedono calpestato il loro diritto a crescere nell'amore, perché costretti a vivere "in quell'inferno creato attivamente dal padre e passivamente dalla madre".

Ultima tappa Cristina, vittima di violenza psicologica, la forma più subdola, viscerale, nascosta, annientante. Appare ancora molto provata mentre racconta di come sia potuta cadere nella trappola di un uomo che "contava le donne che aveva posseduto, avuto e poi gettato nell'anonimato" e "(...) che godeva nel farle sentire nessuno". Cristina spiega che pian piano spariva - come una piccola goccia d'acqua prosciugata da un raggio di sole - nelle mani manipolatrici di quell'uomo falso, pericoloso, narcisista patologico, anaffettivo. A fatica saprà salvarsi, ritrovarsi, riaprire "le finestre per arieggiare le stanze".

Chiude il libro, che qui disvela la sua schietta natura divulgativa, una serie di utili interviste a esperti/esperte del settore e, infine, un triste elenco delle vittime di femminicidio del 2018 in Italia.

A loro e alle altre, alle donne che si rivolgono alle Associazioni attive sul territorio, a tutte le Donne è dedicato questo libro.

                                                                                                                                                Maria Lovito


  Lei stava lì

Francesca Sassano, Florence Art Edizioni  

Meglio il silenzio. Purché non sia solo sconfitta
1 marzo 2020

Romanzo breve, racconto lungo...

A che serve voler ricondurre a categorie, a tipi, quanto scrive la penna di un cuore così sensibile? 

Francesca Sassano ci consegna la storia atrocemente dolorosa di una maternità spezzata da un governo totalitario che, complice la comunità internazionale e certe frange della chiesa locale, decide in modo arbitrario di "far sparire i dissidenti", mentre il Paese, l' Argentina, si gode l'euforia collettiva e ottundente di un Mondiale di calcio.

I personaggi del libro non hanno nomi, loro sì sono tipi: la madre, il padre, il figlio scomparso, gli altri figli, il nipote e, infine, Lei, la ragazza misteriosa, a cui toccherà il compito, escatologico, di ricomporre i pezzi di un puzzle, scomposto dalla tortura legalizzata e ricomposto da un quaderno in cui la madre scrive questa storia. 

E passerà da questo racconto, ponte di congiunzione tra la maternità individuale e quella collettiva, il riscatto di quelle vite soffocate nelle prigioni, ignorate dalla stampa di regime, soffocate da un'ideologia di paura e di censura. 

Il libro di Francesca, avvocata a Potenza, è l'esempio materico della necessità che la cultura professionale si apra a problemi che non sono strettamente attinenti al diritto, perché la nostra visione del mondo tenda a svolgere una meditazione che non si esaurisca a "mera voce del diritto", ma ambisca a diventare "discorso sul diritto, sino a chiedersi se ogni tipo di conflitto debba essere risolto avanti a un giudice" (Scuola Superiore dell'Avvocatura, Progetto Libro - Libri per ragionare, Libri per sopravvivere, a cura di A. Mariano Marini, S. Racheli, A. Cattani)      



  

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Nell'enciclopedia delle donne, la biografia di Ada Negri è affidata a Maria Teresa Fumagalli, che ne sottolinea "il pensiero vigile e ossessivo, la capacità di analisi delle situazioni complesse , analisi spinta fino alla negatività assoluta, alle grida e alla protesta rabbiosa".

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