Hanna Arendt di Laura Boella, Feltrinelli

19.06.2021

Azzardo, in punta di penna, una timida recensione al meraviglioso volume di Laura Boella, Filosofa e studiosa del pensiero femminile del Novecento, intitolato Hanna Arendt per Feltrinelli.

Boella ripercorre la vita della pensatrice ebrea attraverso quattro parole che sono state i capisaldi del più profondo pensiero arendtiano: eredità, realtà, verità e umanità. 

Il viaggio dell'autrice, però, coglie la Arendt nella tensione filosofica e letteraria che ha pervaso i suoi libri, contrassegnati dalla sua appartenenza alla "razza ebraica", discriminata, deportata e "gasata" nei campi di sterminio, e la sua fuga negli Stati Uniti d'America. 

La sua amicizia con Mary McCharty, i suoi legami sentimentali, le sue passioni letterarie e qualche sua rara descrizione , "la donna che non ritenne mai l'essere nata feminini generis un ostacolo"  

Rispondere alla domanda "Chi sei?" e immediatamente ritrovarsi all'interno di una categoria che, se non ancorata a uno Stato, a un territorio, a un complesso normativamente disciplinato, ti conduce verso il gigantesco vuoto della discriminazione, della intolleranza, della segregazione. Sì che la tua risposta a quella domanda solenne e insolente rischia di farti diventare esule a te stesso, profugo in qualsiasi dove la Vita o la Storia ti conducano.

"In un mondo in cui la crescente interconnessione non diminuisce ma aumenta la diseguaglianza" , scrive Boella, la pluralità - preconizzata da Arendt - è la condizione inevitabile della vita sociale e politica. Rifiutare questa idea porta direttamente a legittimare la discriminazione e l'assassinio di ebrei, zingari, omosessuali, prigionieri politici. 

Ecco allora emergere nella sua grandezza etica il cuore pulsane dell'esperienza arendtiana. 

La condizione umana è una condizione di pluralità, è pensare nella prospettiva degli altri, è "testimoniare una condizione condivisa con altri, quella di un IO che pensa e agisce nell'orizzonte del NOI". 

Un nuovo difficile umanesimo che genera un debito, che ha un prezzo da pagare per il fatto di vivere le nostre vite non per conto nostro ma accanto agli altri. 

E' di Arendt l'espressone il DIRITTO DI AVERE DIRITTI sganciato dalla sovranità dello Stato che si fonda sulla libertà di agire, di manifestarsi, gesti e parole, sulla scena del mondo.

Il mondo che ci circonda, conclude Boella nel tentativo riuscitissimo di spiegare cosa rappresenti per Arendt l'accusativo della violenza, si vive "come prezioso e insostituibile teatro dell'essere insieme, come l'unico spazio in cui ciò che si fa può trovare il suo significato".

M.L.     

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