La gioia fa parecchio rumore di Sandro Bonvissuto (Einaudi)

L'educazione sentimentale di un bambino, per farne un adulto consapevole e magari felice, passa atraverso la trasmissione per via ereditaria (e non solo) della passione per il calcio.
Solo che in questo caso la passione diventa tormento, struggimento, visione e illusione, linfa vitale perchè l'oggetto dell'Amore è una Squadra, la sola degna di questo nome, l'A.S. Roma.

"Ma tu, de che squadra sei" ti chiedevano all'improvviso certi individui (...) quelli che noi cugini e nipoti eravamo soliti chiamare spie. "D' 'a tua" era la risposta obbligata.
Cresce e matura così questo bambino curioso, di cui non è dato conoscere il nome, che Sandro Bonvissuto accompagna verso l'età adulta nel suo ultimo, meraviglioso romanzo La gioia fa parecchio rumore (Einaudi).
Il calcio metafora e paradigma della vita in quel "continuo passaggio dalla disperazione all'esaltazione", quella vita che ci chiede di "essere felici mica efficienti", durante la quale siamo chiamati a compiere un viaggio, "un cammino da coprire passo dopo passo", verso un luogo e un tempo in cui ci saranno "contemporaneamente l'oggetto dell'Amore e i suoi testimoni".

Non possiedo nella mia tutta la conoscenza letteraria e filosofica che intride la penna di Bonvissuto. Da lettrice dico di avere portato questo libro struggente in tutte le stanze di casa, dove ho rubato ogni minuto del mio tempo libero per leggere la storia di una saga familiare sui generis, rumorosa, allegra, semplice ma fiera del suo passato e del suo presente. L'ho letto e riletto, l'ho studiato, sottolineato, condiviso e consigliato con il fervore della lettrice soddisfatta.
Perché questo libro, mentre ti parla di calcio, ti racconta l'Amore, una cosa da grandi che bussa all'ingresso della nostra porta nell'ultimo giorno in cui siamo ancora piccoli, la Paura e la Curiosità per il Diverso ("forse ebreo era un modo di essere", "il Brasile avrei potuto pensarlo da casa"), il Coraggio, il braccio dell'amore, la Storia, quella che non conosce amore e che tiene in così poco conto la nostra vita.
Così questa crescita esistenziale ed esperienziale si snoda in una Roma di borgata, che tra periferia e stadi di calcio, non disdegna ci attraversare incessantemente le antiche e mirabili strade dove la Bellezza esagerata, straordinaria e miracoloso diventa familiare, consueta, perché - scrive un Bonvissuto innamorato - "Roma confonde l'esistenza" ed "è questo il vantaggio di essere romano".
All'interno di questo insuperabile confine, vivono il bambino del racconto e la sua gente, tanto amata, la famiglia, i parenti, gli undici della squadra, i tifosi tutti; all'interno del limite imposto dal Grande Raccordo Anulare vivono i noantri - crasi popolare di noi e antri - in un insieme di persone , "come quelli che si formano per strada all'impronta", nonni, genitori, zii e cugini.
A questo punto la maestria narrativa dell'autore si supera essa stessa nel creare personaggi capaci per acume, simpatia, spacconaggine, di pararsi in carne e ossa davanti al lettore.
Resteranno indimenticabili la Mamma, esperta nel risolvere le controversi e familiari con le mani sui fianchi, il Padre, il romano del Quadraro, con la camicia bianca sbottonata fino al cuore, silenzioso ma mai assente, lo Zio megalomane, romantico, romanista, il Nonno, dispensatore di massime di saggezza sempre incompiute ( e poi nonno se ne andava senza dirci come uscire da quella ruota), Barabba, figura indecifrabile ai margini del sistema, il diverso del gruppo, che, mentre raccoglie la rena del fiume per rivenderla, discetta sul valore del numero 5, tra storia e filosofia, scienza e letteratura, religione e misticismo.

La mia gente, scrive a più riprese Bonvissuto, persone umili, magari poco sofisticate, attente all'istruzione dei figli, comunque presenti nelle loro vite, in grado, pur tra scapaccioni e parole grosse, grevi, di trasmettere loro sentimenti antichi e sempre nuovi come l'appartenenza, l'orgoglio identitario, la valenza del gioco di squadra allo stadio come in famiglia.
Gente grande che custodisce un segreto importante: sapere che nessuno ha diritto di impedire alle emozioni di agire come forze nelle vite altrui

Un libro "nutriente", intenso e bellissimo, uno di quelli, per dirla alla maniera di Daniel Pennac, che offre una tregua dalle contingenze di cui siamo prigionieri, un rifugio che, mentre ci consente di astrarci dalla realtà, ci fa affondare ancora di più le nostre radici in essa.
Maria Lovito