La scelta difficile. Nicola Panevino, il giudice partigiano di Emilio Chiorazzo (Edigrafema edizioni)

15.03.2021


Nicola Panevino, magistrato, morì a 34 anni in una rappresaglia tedesca, nel marzo 1945, poche settimane prima della liberazione.

Emilio Chiorazzo ne ricostruisce la figura, i pensieri, le azioni, attraverso ricerche, scritti dal carcere e testimonianze dirette, nel nuovo libro pubblicato da Edigrafema, La scelta difficile, Nicola Panevino, il giudice partigiano.

"Ricordare è fondamentale" scrive nella prefazione al libro Emilio Ricci (Vicepresidente nazionale ANPI).

Gli fa controeco Mario Tuttobene, magistrato del Tribunale di Genova, nella postfazione:" Ed è grazie al sacrificio degli uomini come lui se oggi abbiamo perso la memoria stessa di quanto mortificante fosse vivere sotto la dittatura".

Nell'ottimo lavoro di Emilio Chiorazzo, la parola memoria si declina su vari livelli tra loro interdipendenti e tutti efficaci a restituire la figura di un uomo "il più intelligente, il più attivo, dotato di una signorilità e di una gentilezza d'animo senza pari (pag. 175), "un uomo veramente eccezionale, degno di ammirazione" (pag. 127).

E' memoria delle atrocità della guerra, della lotta per la liberazione, delle rappresaglie tedesche sui partigiani, giovani coraggiosi e stanchi della oppressione nazifascista, quelli sulle montagne, ma anche quelli nelle scuole, nelle piazze, negli uffici e, come Nicola Panevino, nelle aule giudiziarie.

Perché, come si legge nelle pagine del libro, ricco di dettagli storici e corredato da una imponente bibliografia, mentre la Storia ci ha tradotto le tragedie più gravi del Paese in quel periodo storico, molte, tante, sono state le storie che nessuno ha mai narrato.

Panevino, giovane magistrato, sposato con la sua Elena, una figlia appena nata, Gabriella, a cui scriverà lettere piene di amore, avrebbe potuto rifugiarsi nella sua privilegiata sfera privata e così tenere salva la vita. Non lo fece, pur nello scontento della moglie, che a modo suo, tuttavia, ne diverrà una sorta di collaboratrice, perché "non c'era un privato dove isolarsi", perché " il fascismo bisognava accettarlo o combatterlo".

Gli toccherà il carcere duro, la tortura, che lo fiaccherà nel corpo e nello spirito, e poi una via crucis straziante insieme ad altri giovani partigiani con lui detenuti a Genova, verso il luogo deputato alla sua fucilazione. I documenti ufficiali lo chiameranno l'eccidio di Cravasco, dove oggi, come a Carbone e ad Aliano nella sua Basilicata, si erge la lapide che lo commemora.

E' memoria della terra d'origine, dei tratti caratteriali propri di un popolo, che ti porti dentro sempre e ovunque, della famiglia e dei suoi valori. Nicola Panevino, figlio di Giambattista, anch'egli magistrato, lucani, divisi tra Carbone e Aliano. Attraverso gli scritti del giudice, emerge la figura irreprensibile del padre che lo vuole magistrato e che gli sarà sempre accanto nelle tumultuose vicende della sua breve esistenza, fino a quell'ultima lettera, parole che lette allora come ora conservano il sapore della beffa.

C'è tutto il corredo utile a nascondere anche il più straziante dei dolori nel ricordo della nipote Gabriella nella intervista rilasciata allo scrittore.

" Mio nonno e mia nonna non parlavano di lui. Troppo dolore. Perdere lui per nonno Titta è stato come interrompere una stirpe".

Terra difficile la Basilicata, dove la struggente bellezza dei luoghi si lega alle vicende della sua gente, abituata al duro lavoro, capace di rialzarsi dopo ogni evento tragico, piagata dalla emigrazione. Terra che, però, può nascondere storie come quella del giudice partigiano, di persone il cui esempio può contribuire "a sostenere i principi del vivere civile".

La scelta difficile, infine, si fa tributo di Emilio Chiorazzo alla memoria che egli conserva e nutre della sua Basilicata, quella che egli celebra nel lavoro di giornalista appassionato, curioso, professionista serio.

Messo da parte lo stile cronachistico, la sua scrittura si sviluppa senza intoppo alcuno sugli schemi del racconto storico, in grado di tenere incollato il lettore alla narrazione pur conoscendone già l'epilogo. Tra quelle pagine c'è studio meticoloso delle carte, passione, ansia di far sapere, rispetto per l'uomo, urgenza di elevare a dignità anche la pena dell'ingiusta detenzione.

Uno sforzo, perfettamente compiuto, che regala al lettore due brani meravigliosi: le sere intorno al braciere in carcere con il prof. Alfredo Poggi a parlare di storia, (...)di cultura; la fatica del partigiano Franco con il compagno inabile sulle spalle lungo i sassi della mulattiera che li condurrà al luogo dell'eccidio.

E se il ricordo di Panevino andrà all'immagine virgiliana, indimenticabile, di Enea che porta in spalle il padre Anchise in fuga da Troia, oramai sconfitta, il mio correrà a Primo Levi, in fila per il rancio, un giorno qualsiasi nel campo di concentramento, pressato dal bisogno di recitare a Pikolo il Canto di Ulisse, con versi scialbi e mal tradotti in francese, necessari a piegargli "qualcosa di gigantesco che io stesso ho visto ora soltanto, forse il perché del nostro destino, del nostro essere oggi qui...".

Sperimento, così, a conclusione della lettura, che davvero "la memoria è uno strumento curioso". [1]

Maria Lovito

[1] Primo Levi, Se questo è un uomo, Einaudi Tascabili 


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