La Snaturata di Marina Novelli, Ensamble edizioni

20.08.2021

Echi di Mazzantini, richiami alla Allende, tracce di Fo, impronte di Boccaccio.

In un vorticoso ventaglio di rimandi letterari si colloca il nuovo libro di Marina Novelli, La Snaturata (Ensamble edizioni).

I commenti dei lettori restituiscono l'idea di un testo assai originale, strutturato su un complesso ordito onirico, che svela nell'autrice una nutrita e profonda conoscenza di arte e letteratura, sapientemente tra loro commiste. 

Racconta Marina Novelli di una povera prostituta, Lena, miracolosamente bella ma sfortunata in vita e nella morte che sopraggiunge per mano di un tassista incauto e misero, il quale la travolge e non le presta soccorso. Lena resta tra i rifiuti, la scorge un cagnolino che di lei condividerà la stessa strana sorte e le sarà data - in un certo senso - una seconda vita nell'obitorio della città dove il suo cadavere diverrà attrazione per una balorda fetta di umanità. Sino a un epilogo contrassegnato da una sorta di triste umorismo in una fontana - monumento destinata pure questa a un inesorabile disfacimento.

Che destino quello della Snaturata passare dalla "invisibilità" della strada alla "notorieta" di un corpo privo di vita ma capace di sprigionare una luminosità accecante attorno a sé, beffandosi dell'orrido e lento decomporsi della morte.

Ancora più strano se quella morte per Lena è un momento che segna se non l'inizio della felicità almeno la fine del dolore, in una condizione universale che strizza l'occhio al pensiero romantico più famoso (L'esistenza è un male per tutte le cose che compongono l'universo, G. Leopardi, Lo Zibaldone). 

Lena, morta, si trova di fronte alla sua essenza più vera, si riconosce e si comprende appieno. Non prova angoscia né ha nostalgia della vita, almeno della sua. Da questo privilegiato punto di osservazione si abbandona nello spazio tra il Qui e l'Aldilà, ci sguazza, si diverte davanti alle miserie umane che credeva solo sue e che, al contrario, sono collettive. Si illude così di vivere una vita più autentica. 

Ma la Morte è "fine dell'Essenza" (M. Heidegger) e pone ogni essere umano di fronte alla nullità dell'esistenza. Lena forse non lo sa o non vuole accettarlo e si offre ostinata - anzi snaturata - al pubblico osceno che la cerca e la desidera ancora e sempre solo per se stesso.    

Accanto a Lena, in questa sorta di esperimento di trapasso consapevole, Marina Novelli pone due personaggi dai tratti a volte esilaranti, voci di un coro da tragedia greca, Vasile il padre della donna e Bellapanza (lasciamo ai lettori scoprire chi è): si muovono sulla scena intorno al bel corpo della morta, invitandola invano a distaccarsene, tra rimbrotti, sbotti di ira, abbandoni e ritorni in grado di rendere dinamica e movimentata la narrazione, che si muove con naturalezza tra rappresentazione del reale e deformazione fantastica, si ché  corpo e materia occupano la scena, la invadono e la travalicano.

L'incredibile prova salvifica di Lena si conclude nell'acqua, come quello di Ophelia di Millas, musa ispiratrice della Novelli in questa sua nuova fatica letteraria, creduta pazza, bellissima, aggrappata con grazia alla varia infiorescenza di uno stagno le cui acque prima la sorreggeranno in un ultimo disperato tentativo di vita e poi la avvolgeranno trascinandola nel fango della morte.      

M.L.      

  

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