Mio fratello Odoardo, una biografia di Focherini di Giacomo Lampronti (Edizioni Dehoniane Bologna)
Partecipare alle celebrazioni che, seppure on line, si terranno per il prossimo Giorno della Memoria (27 gennaio 2021) parlando di Giornalismo e di Giornalisti?
Si, se il Giornalismo è quello di una testata attiva nel periodo del Ventennio fascista, quale è stata L'Avvenire d'Italia.
Si, se i Giornalisti sono due uomini coraggiosi, amici leali e sinceri, uno ebreo, Giacomo Lampronti e l'altro cattolico, Odoardo Focherini.
E ancora, sì, se il secondo per salvare il primo, e con lui uomini, donne e bambini, morrà prigioniero in un campo di sterminio tedesco, Hersbruck, il 27 dicembre 1944.

Le Edizioni Dehoniane di Bologna hanno ridato alle stampe il libro a firma di Giacomo Lampronti, Mio fratello Odoardo, una biografia di Focherini, pubblicato per la prima volta nel 1948, conservandone intatto quell'"Italiano elegante e antico, eppure godibile da chiunque".
Lampronti, a guerra finita, decide di onorare la memoria dell'amico Odoardo, ne racconta la vita a Carpi, la nascita della sua famiglia, l'ardente militanza cattolica, poi i suoi 5 meravigliosi e coraggiosi anni alla direzione dell'Avvenire d'Italia, quindi l'impegno politico, sociale e di fede per aiutare gli Ebrei perseguitati dal Regime, dopo il triste discorso di Trieste e la promulgazione anche in Italia delle leggi sulla razza, fornendo a quanti più possibile asilo, documenti falsi, salvacondotti.

Di Lampronti non si salverà la sua famiglia, sterminata nei campi nonostante il tentativo di fuga in Svizzera. Mentre Focherini, arrestato prima a Bologna, troverà la morte spietata in un campo tedesco. Lui, che diventerà Giusto tra le Nazioni, meritando la posa di una pietra di inciampo davanti alla sua abitazione, primo e unico giornalista italiano a essere riconosciuto Beato, "vittima di letale persecuzione in odium fidei", il Santo della porta accanto diremmo oggi, l'apostolo senza saio, un allegro donatore, un uomo di azione, un esempio di carità per i "lontani", come ce lo consegna Lampronti nella sua testimonianza ardente.


Nel libro, si erge ieratica la figura del giornalista, con la sua quotidiana proiezione dell'ansia di diffondere la verità, un professionista instancabile della parola e della scrittura, che del suo giornale aveva fatto una bandiera, raccontando i fatti con serenità imperturbabile e ampiezza di visione.
Focherini guardava con diffidenza al giornalismo di punta e penna dei tempi passati e sentiva forte la responsabilità della conduzione di un giornale, questo grande mezzo di diffusione delle informazioni di cui la società non può fare a meno, che, scrive Lampronti riferendo il pensiero dell'amico, "non è più, se pur mai lo è stato, un'occupazione di perdigiorno, un passatempo di chi non sappia far nulla di meglio, un complemento inutile di un'esperienza inconcludente".
Quel giornale divenuto un avamposto rischioso, di cui ogni giorno si temeva la paralisi come si teme un malessere fisico, perché "nulla è più triste per chi vive il mestiere del giornalista di una redazione inerte e silenziosa, di una tipografia inoperosa".
Focherini trasformerà quel giornale in un'Idea da custodire come prezioso patrimonio per gli uomini del suo tempo, come capitale vistoso utile per qualsiasi impresa, per missioni nobilmente tracciate.

Così conserverà l'attualità del suo messaggio, di quella missione su questa terra, riuscendo a parlare agli uomini di oggi, ai giornalisti di oggi, che si trovano a misurarsi con nuovi strumenti di diffusione delle notizie, la rete, che velocemente riesce a raggiungere un elevato numero di persone sacrificando sull'altare della fretta lo stile, la scrittura raffinata, la curiosità, il reale approfondimento della notizia, perdendo le qualità dell'ascolto, dell'umiltà e della professionalità che, per molti, attribuiscono a questa professione una sorta di funzione pedagogica.
Friedrich Nietzsche diceva "Siate appassionati fino all'intelligenza".
E Focherini è stato uomo appassionato, indimenticabile statura eroica capace di resistere alla barbarie nazifascista armato solo di fede, speranza, carità e macchina da scrivere.
Maria Lovito