Pensandoci bene non me lo ricordo più passaggi e ritorni di Antonella Ambrosio (Edigrafema edizioni)

UN TRATTO DI ME
Feci un lungo respiro
misi da parte il dolore
mi sono appesa a quel tratto di cielo che ripresi
dopo un giorno migliore...
Feci un grande sospiro
misi da pare il rancore
E mi trovai accanto a un fiore
che mi diede nuovo splendore
Poi mi fermai un momento
a guardare il mio viso
e all'improvviso comparve sul mio volto
un sorriso

ph Donato Colangelo
https://www.colangelodonato.com/
Pensandoci bene non me lo ricordo più è una raccolta di poesie di Antonella Ambrosio, poetessa e appassionata di teatro sin da bambina.
Eredita dal padre, sempre vivo nei suoi ricordi, l'amore per la poesia napoletana e poi le sue letture si diversificano da Catullo a Neruda, da Dante e Petrarca a Brecht, fino a Trilussa nei suoi "anni romani", come dice lei.
Recensire un libro di poesie è sempre molto difficile, se è vero che la poesia è un lampo, una scossa, una fulminea illuminazione, che si sottrae ad ogni razionale catalogazione di genere e di stile.
A questo non sfugge il lavoro di Antonella, nella cui "opera la prosa lievemente si fonde e cola nella poesia" prendendo a prestito le parole di Rocco Pezzano nella sua prefazione al libro che è quasi poesia essa stessa.

E allora perché non prendere le mosse proprio da qui, da questa prefazione che è un cameo di stile: "Antonella va dritta al proprio cuore mentre sanguina, mentre sublima emozioni pure da ricordi amari, mentre grida col silenziatore e sussurra col megafono".
I ricordi amari affondano le radici nell'Assenza o nelle tante assenze che hanno attraversato la vita dell'autrice, fino all'assenza di sé per perdersi volutamente e ritrovarsi perché "sono io la risposta stessa".
C'è un'assenza trafiggente nella perdita, ma c'è un'assenza nella presenza (esagerata dall'avere accanto un'anima inanimata); in un'incredibile inversione linguistica, c'è una presenza nell'assenza (una mente che cerca di liberarsi da gabbie di trascorsi) e, infine, assenze senza un perché (quelle di un giorno fitto di ricordi).
Su questo terreno, tra vuoto e pieno, si innestano le rime di Antonella e il vissuto doloroso che l'ha condotta sino a qui e di cui lei non fa (e non vuole farne) mistero.
La scrittura si fa salvifica negli anni della violenza, è rifugio, sfogo, è strumento per sopportare e "per sentirti viva e andare avanti".
Sceglie di vivere con la consapevolezza che, per farlo, non dove più sentire dolore (Se dici settembre), non farsi sempre e per sempre le stesse domande, perdere la memoria di certi pensieri, così da essere libera di pensare (Pensandoci bene non me lo ricordo più).
Si mette in cammino per trovare il coraggio di "vivere tra ardenti paure perdute dai mari" (Spicchio di luna), una corsa in salita, verso se stessa (Chiamala per nome), sparire al momento giusto e volare per fare prima (Non sbattere la porta).
E, infine, si guarda indietro Antonella, "riprende il centro un minuto" e inizia a viaggiare controvento con un passo lento (Solitudine) per ritrovarsi accanto a un fiore e sorridere (Un tratto di me).

Un tratto di me ... Antonella così mi scrive" da una rinascita di quel tratto rimasto da dove si ritorna e da dove si rivede la luce all'essere arrivati attraverso una profonda ricerca d'identità al profondo sé. Clarissa Pinkola Estes in Donne che corrono con i lupi mostra la rinascita della donna selvaggia, solo coloro che aprono quella porta nella loro memoria ritrovano la luce"
Maria Lovito